sabato 13 settembre 2014

Architettura parassita
Michele Costanzo «(h)ortus. Rivista di architettura» 19-06-2009
Il saggio di Sara Marini, Architettura parassita, è una riflessione su un genere di realtà in continua modificazione riguardante l’edilizia corrente che metaforicamente costituisce la trama e l’ordito del tessuto delle città.
Nel suo percorso concettuale, si scandisce in capitoli tematizzati e si arricchisce di numerosi esempi progettuali e d’interviste-dialogo con gli autori di alcune delle diverse forme di parassitismo, che sono dall’autore esaminate nelle loro strategie espressive e nei diversi riflessi in ambito costruttivo, politico, sociale. 
Questo fenomeno di “innesto di un corpo in un altro corpo” è sempre avvenuto in architettura, ma ora tale pratica ha assunto un’accelerazione dovuta a nuove norme edilizie in campo nazionale ed europeo, che indirizzano la produzione verso la trasformazione dell’esistente. In tale operazione non c’è mimesi, ma piuttosto un’esplicita distinzione tra nuovo e preesistente, quando addirittura non è perseguita la strada del contrasto. 
Tale approccio, che porta alla modificazione del paesaggio urbano ormai consolidato nella memoria collettiva, negli ultimi decenni ha riguardato anche importanti trasformazioni di edifici storici. Così, da un lato si può ricordare l’ampliamento della Tate Britain da parte di James Stirling a Londra (1986) e dall’altro, in tempi più recenti, l’ampliación di Rafael Moneo del Museo del Prado a Madrid (2007) o, ancora, il progetto di Herzog & de Meuron per il centro culturale/sociale CaixaForum a Madrid (2008), ma è chiaro che gli esempi che potrebbero essere fatti sono tantissimi.
La gamma delle così dette “superfetazioni” si è estesa enormemente e non si tratta più di quella prassi abituale, più o meno abusiva, di “ampliamento” degli edifici che si sviluppa nelle città, grandi o piccole poco importa, come una sistematica forma d’erosione dell’immagine e della spazialità consolidata che contraddistingue i diversi habitat. «A Roma ogni edificio è stato soprelevato [...] una o più volte quindi di per sé l’intervento ridolfiano» (1) di via Paisiello, ricorda nella prefazione Pippo Ciorra, non rappresenta un caso emblematico di “rottura di regole”, come altrimenti il concetto di parassitismo in sé rappresenta. 
Il nodo della questione è riflettere sulle ragioni, sulle conseguenze o sulle valenze culturali (se ce ne sono) di questa sempre più estesa trasformazione del reale, su questa sorta d’instabilità permanente, dell’immagine urbana che si riflette sul senso del presente; ossia della città, degli edifici, delle cose che diventano altro, perdendo il loro significato originario, acquistandone uno nuovo, magari improprio rispetto alle ragioni intrinseche di ciascun oggetto architettonico, ma coerente con la vita che si muove attorno ad esso, nonché con le diverse esigenze che affiorano come una forma di “bradisismo” continuo, dilagante. 
«Questo percorso di ricerca», osserva Marini nell’incipit del suo scritto, «parte dalla volontà di riflettere sulle modalità di crescita della città mettendo in dialogo le pratiche di trasformazione in corso nei territori con il ruolo del progetto architettonico» (2).
Note
(1) Pippo Ciorra, Prefazione, in: Sara Marini, Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città, Quodlibet, Macerata 2008, p. 8.
(2) Sara Marini, Architettura parassita, op. cit., p. 19.

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